CCC 2010

Spinto dall'amico Mauro e da qualcun'altro disposto, ahilui, a sorbirsi le mie divagazioni da letterato della porta accanto, ecco il mio resoconto della CCC. E' lungo, lo so, ma niente in confronto a quello dell'UTMB che sto finendo...


Venerdì mattina ore 5:00... La sveglia... Nel solito momento di smarrimento in cui tutto sembra sospeso, un barlume di luce inizia a schiarire il cielo e la mia testa e viene fuori tutto: sono a Chamonix, in una tenda montata in un parcheggio e vicino a me mezzo addormentato c'è Mauro. Siamo qua per correre per 98 km e 5600 metri di dislivello, da bravi trailer fescion, siamo caduti anche noi nel circo di lustrini dell UTMB e corse sorelle.

Il nostro appartamento de luxe

E allora dai, mettiamoci in piedi e vediamo di iniziare bene la giornata. Sistemiamo la roba, e mentre prepariamo la colazione scrutiamo il cielo, nella notte è arrivato un sms che dice di fare attenzione “previste condizioni di maltempo”. Per ora non piove, si vede ancora il cielo stellato, ma le previsioni sgarrano difficilmente. Ci vestiamo, controlliamo tutto e andiamo a prenderci il bus che ci porterà a Courmayeur alla partenza. Tutto sommato siamo tranquilli, così come ieri sera con Stefano e prima ancora con gli altri italiani, le risate e le battute allietano la mattinata. A Courmayeur, mentre Mauro ritira il pettorale ho tempo di fare una telefonata, sistemare il Camelback, andare al bagno e fare un po'di stretching per il mio malandato ginocchio, poi ci incamminiamo con calma verso la partenza. Ancora un caffè e ci siamo.

Emozionato come un bambino sulla linea di partenza

Ci accomodiamo tranquilli in uno spiazzo erboso in compagnia di altri trailers, vicino a noi un quintetto di americane sui 50, con i mariti a fare da crew. Cerco di stare tranquillo e rilassato, un po' di musica e poi quando manca un quarto d'ora ci mettiamo in coda. L'ambiente inizia ad essere elettrico. Trovo Federico, è venuto a vedere la partenza con la famiglia, facciamo due parole, le previsioni sono poco buone... Eh pazienza... “Poteva andare peggio, poteva piovere!”
Infatti, tempo di ritornare a fianco a Mauro e comincia, forte, ma almeno la pioggia nasconde la lacrimuccia che mi scende quando prima di partire apro ancora il telefono e vedo un messaggio di incitamento che più bello non si poteva proprio (ci penserò spesso, specie durante la notte...). Inni nazionali, un po' di scena e via, si parte. E comunque per un novellino come me, vedere partire 1800 persone mica è normale, la gente ci incita a più non posso, ho un sorriso idiota, lo so, ma non riesco a fare altro che sorridere... Che inizi l'avventura!

Idioti all'arrembaggio

Si va incolonnati su asfalto fino a Planpinceux, di lì inizia la salita vera. Ancora tappi ed incolonnamenti, gente che taglia su per la riva (ma chi ve lo fa fare, quanto guadagnerete a fine giornata?) poi con la salita si sgrana il gruppo e prima del Bertone si riesce anche a corricchiare. E vai, primo “ravitò” raggiunto. E' mezzogiorno, ma niente pasta: dopo aver bevuto con regolarità la mia acqua e glucosio dal camelback, cerco di mantenere il mio piano “un gel a ristoro” quindi gel, acqua e via subito. So che la salita qui si fa dura, proprio quello che piace a me, e difatti salgo tranquillo ma deciso, recuperando posizioni. Sulla lunga cresta, senza forzare, cerco di corrichiare, le sensazioni sono buone. Continua a piovere e a 2500 il freddo inizia a farsi sentire, mi copro, ma prima di Tete de la Tronche arriva addirittura un timido sole che mi accompagna anche nella prima parte di discesa tosta, dal colletto spiana un po' bisognerebbe provare a correre, ma il ginocchio terrà? Provo a lasciarmi andare controllando bene gli appoggi, e tutto sommato non va male. Passiamo in mezzo alle mucche e dopo un po' incrocio il simpatico Mirko, proprio sotto al Bonatti. Gel, acqua, Coca Cola e decido di ripartire subito, non voglio raffreddare il ginocchio, c'è casino e riempirò il Camel ad Arnuva che dista solo 7/8 chilometri. Nel traverso corro tranquillo e poi mi getto nella discesa, arrivati nei pressi del ristoro si sentono grida e campanacci, c'è un mucchio di gente che fa il tifo per tutti, che bello!

Mi prendo una scodella di pastina in brodo e poi riempio il Camelback pasticciando un po' per sciogliere il glucosio e poi reinfilare la sacca, la prossima volta devo fare più attenzione. Si riparte e so che adesso viene la mia salita preferita, quella al Col Ferret. Inizio a macinare, il ritmo c'è, le gambe stanno bene, ci godiamo anche uno sprazzo di sole. Scollino con due fratelli già conosciuti al Soglio e di qui inizia la parte che più mi spaventa: 18 km di discesa da correre, per il mio ginocchio è il momento topico. So che se arrivo a Champex camminando ce la posso fare a tenere fino in fondo, se invece il dolore diventa forte, sarà dura trascinarsi alla fine. Quindi grande controllo (anche perchè scoppiarsi i quadricipiti al 32mo chilometro e con ancora almeno tre discese mortali non è intelligentissimo) ma continuo a correre piano. Sul ripido paradossalmente va meglio, vedo che con il mestiere non perdo molto terreno. La Peule, gel e acqua, tanto asfalto, un sms di Pino e poi uno di Janpo che mi danno forza e mi strappano un sorriso, sono quasi le cinque e spero di passare La Fouly prima che Mari esca dall'ufficio così vede che sono già lì... La testa lavora per levare stress dal sentiero che ora è monotono, e finalmente ci siamo, il ginocchio inizia a scricchiolare ma c'è un po' di salitina e piano che mi fanno respirare, e poi si entra nel ristoro. Pastina in brodo con pane integrale, vaselina per le cosce e riparto subito: 7 minuti contati.

Discesa su strada bianca, poi su sentiero, ora il ginocchio fa maluccio, cerco di fare passi brevi e tenere un ritmo costante... Ma quanta benedetta discesa c'è ancora? Asfalto, poi sentiero, poi ancora asfalto, però la testa è a posto, in discesa sono sempre lento ma continuo, nei pianetti e negli strappi vedo che sto bene. Ricomincia la pioggia, ma finalmente si sale. Sentier des Champignons, bellissimo single-track nel bosco, mi metto dietro a due tizi che stanno spingendo ad un buon ritmo, la salita è dura ma mi sento davvero ok e passo dopo passo, tra le sculture di legno, ecco che sbuca Champex. 55 km e parecchio dislivello sono andati, sono le sette, quindi 9 ore: ottimo.
Azz, la tenda è piena di gente, c'è la coda pure per il mangiare. Poco male, mentre aspetto mangio il gel d'ordinanza, bevo acqua e poi finalmente mi recupero la mia pasta in brodo ed il pane. Mangio, poi levo tutto dallo zaino e riempio il Camelback. Anche qui pasticcio un po'con il glucosio, ma sistemo bene la sacca. Poi mi cambio. Via intimo e maglietta bagnati e metto intimo e maglietta asciutti. Metto la frontale sopra a tutto e sono pronto a ripartire. So che qui in tanti si fermano un po' di più in vista della notte, ma ho voglia di uscire e riprendere, 20 minuti mi sono già sembrati un eternità!

Appena uscito mi accorgo che piove forte e prendo una decisione saggia. Mi fermo nuovamente, levo la maglietta e sopra all'intimo metto la giacca pioggia. Centro. Al caldo e asciutto riparto contento e fiducioso. Mi concedo una telefonata a Maria Carla, stanno partendo per Chamonix, le dico che sto bene, sono al 55 km e adesso si fa dura, ma anche lei capisce che sono fiducioso, che sta andando bene.

Ancora discesa, ma faccio due parole con un ragazzo inglese simpatico che avevo già incrociato a La Fouly, c'è un pezzo nel bosco non bellissimo ed è già buio: se ero furbo ripartivo da Champex con la frontale già in testa, ma vabbè, è lì sopra a tutto. Finalmente salita, su strada bianca dove accellero il passo, recupero gente e dopo qualche chilometro la salita si fa tosta. Sentiero pietroso con dei bei risalti, non ricordo bene l'altimetria ma mi sembra questa sia la salita di Bovine, di cui tutti dicono peste e corna. Mi accodo ad un francese che sale come uno stambecco, ma dopo un quarto d'ora devo tirare fuori la frontale o rischio di inciamparmi. Mini pausa e ripartenza, c'è da fare qualche guado avventuroso ed il sentiero ha delle colate che lo rendono bello tosto, ma le gambe vanno, il fiato tiene e così spingo.
La pioggia aumenta, il vento anche, è tutto buio e nel lungo traverso in cima il sentiero è davvero un ruscello, cerchiamo di correre un po' sopra un po' sotto, si scivola e così procediamo a passo molto spedito: le condizioni sono davvero dure, ma sto bene, non ho problemi e finalmente sbuca anche la tenda del ristoro ore 21:19. Gel, pasta in brodo e vorrei cambiarmi le calze, sento i piedi che iniziano a dare problemi, le solette delle scarpe si sono rattrappite sotto i piedi e mi danno fastidio, ma la tenda è piena di gente che cerca di scaldarsi e che non sta troppo bene: “C'est combien pour le prochain ravito?” “8 km, a la fin de la descente”. Dai, faccio tutto lì, intanto mi metto il Buff al collo.

Si sale ancora un po' e sono solo con la frontale, inizia la discesa ed il ginocchio non va benissimo, però arriva un messaggio di mio papà, me lo immagino davanti al computer che segue i passaggi e sorrido, cerco di alternare corsa e camminata veloce, tanto con il buio correre veramente è suicida visto che in questo pezzo il fondo è di 30 cm di fango ed acqua, si scende su sentiero sconnesso poi finalmente le voci e le grida. Ma siamo già a Trient? Magari... Però è il Col de Forclaz, gente, tifo... E nel pezzo seguente in piano attacco deciso, poi discesa ripida per due chilometri, ma qui riesco ad andare; attraversiamo la strada, dalle macchine ferme invece di improperi e bestemmie arrivano solo “bravò” “superbe” ed ecco Trient, un gattino mi attraversa la strada “c'est de la bonne chanche!”, dai Davide, chilometro 70, sono solo le dieci e mezza, due salite e due discese, forza!

Gel, acqua, pasta in brodo, pane. Poi mi cambio tutto, sono fradicio: via la maglietta maniche corte e manicotti, metto la termica calda a maniche lunghe, via i pantaloncini (a malincuore, non mi piace correre con i corsari, ma i pantaloncini sono così zuppi che mi cadono da indosso!) e cambio le calze, che sono piene di fango. I piedi non stanno proprio bene, vesciche e il ditone destro è messo male, ma oramai non ci posso fare niente, è da 13 ore che sono bagnati al freddo, non so cosa potrei aspettarmi di diverso. Messaggio a Mauro, gli dico di tenere duro, so che temeva il cattivo tempo, ma siamo in ballo, bisogna stringere i denti. Riparto senza riempire il Camelback, rischiando un po'.

Si riprende con la salita, ed io sono di nuovo lì a spingere deciso. Mi impongo di non esagerare, che è ancora lunga e dura, ma sto bene, so che in salita posso spingere al meglio mentre in discesa devo amministrare per il ginocchio. Spunta anche per quattro o cinque minuti la luna... Cavolo, avessimo avuto il cielo limpido sarebbe stata una notte indimenticabile... Ma dopotutto lo sarà lo stesso! Si sale decisi nel bosco, tornanti e frontali che si inseguono, in pochi chilometri siamo a Les Tseppes, riprende una pioggia malefica, arriva il vento forte e dopo qualche saliscendi ricomincia la discesa tosta. Al controllo di Catogne passo a mezzanotte precisa: si fa tutto decisamente estremo, prendo anche guanti e cappello di pile, non voglio rischiare e ora fa davvero freddo.

La prima parte di discesa è in condizioni infami, piove sempre più forte, c'è vento, arriva la nebbia e il sentiero è un fiume di fango. Procediamo incolonnati, poi la strada si allarga un po', allungo il passo e riprendo la discesa ripida dopo il confine con la Francia. A un certo punto vedo un trailer a lato del percorso fermo, chiedo se va tutto bene: “Davide, c'est toi? C'est moi, Francois!”.
Incredibile, è uno dei miei colleghi francesi, doveva essere all'UTMB! Allora mi dice che la gara è stata fermata per condizioni estreme, mi chiede come sto e se ho visto Gilles, un altro nostro collega. Gli dico di no, lui dice che era 400°, allora sicuramente sarà avanti (invece si era fermato qualche minuto di più a Champex e ci siamo rincorsi a distanza di quattro cinque minuti fino a Vallorcine, che sfiga). Al che mi accompagna fino a Vallorcine: è veramente una bella cosa, facciamo due parole, nel delirio della fatica il mio francese è quasi fluente, mi chiede se ho bisogno di qualcosa, ma devo solo riempire il Camel che è secco, per il resto tutto benissimo. Mi saluta dandomi appuntamento all'arrivo. Grazie Francois, mi ci voleva un po' di incoraggiamento.


Non c'entra niente con la gara, ma è troppo bella. Scilla for president!

Km 80, entro, carico il Camelback (finalmente senza intoppi) gel, acqua, brodo e via, senza indugi. Piove a dirotto, ma il sentiero è in salita lieve ed io vado via con un passo veloce, sto recuperando parecchia gente. Dopo quattro chilometri sono finalmente all'attacco dell'ultima salita dura. Vedo le frontali che si inerpicano sul lato della montagna e sento di avere ancora tante energie da spendere, un messaggio di mio papà, è ancora davanti a sto benedetto computer all'una di notte: dice di tenere duro, che oramai ci sono... magari... ma oramai inizio a crederci. Attacco e via, recupero uno, due, tre persone e facciamo parecchi metri di dislivello. Purtroppo, più si sale più le condizioni sono brutte: le colate d'acqua diventano vere cascate che invadono il sentiero, il balisaggio è perfetto, ma serve parecchia attenzione tra le rocce. Dentro di me penso “Per fortuna che sto bene, sia di testa che fisicamente, altrimenti qui potrei andare in crisi”.
Si sale ancora ed in certi punti si allaga tutto, bisogna fare guadi fino al ginocchio nell'acqua ghiacciata. Siamo a 2000 metri, nessuno in giro, piove, fa un freddo incredibile, c'è una nebbia bassa che la frontale non scalfisce neanche, ho le gambe nell'acqua... Ma proprio al km 87 devo chiedermi che cazzo ci sono venuto a fare qui? Si inizia un traverso incasinato tra le rocce, qui la cosa si fa pericolosa, però dove si può spingere continuo ad andare deciso, sto troppo bene per tenermi, e adesso c'è tanta voglia di arrivare, anche se so che c'è ancora l'ultimo sforzo. Al posto di controllo di Tete aux Vent non c'è nessuno, hanno abbandonato la postazione; mmmh, non bene. Sorpasso gente un po' in crisi finchè nella nebbia non vedo uno zombie traballante con indosso la coperta termica. Questo è messo male davvero. Mi fermo, gli chiedo se vuole qualcosa, un gel, dell'acqua, ma ripete solo “Je ne m'arrete pas, je ne m'arrete pas”. Va bene, allora crepa di freddo alla Tete aux Vent, sarai un eroe. Il tizio mi intristisce, e capisco che a volte a seguire i propri sogni, è un attimo finire nel tunnel dell'idiozia. Fortunatamente dopo un chilometro vedo il soccorso che mi dice che era già stato segnalato.
Raggiungo un treno di 7/8 runners, mi chiedono se so dove siamo: credevo di sì, ma mandano un po' in confusione anche me. Io sto bene, c'è la nebbia ma il sentiero è segnato bene, però mi sentirei un idiota a passarli e mi sta bene così, procediamo in colonna finchè dopo una buona mezz'ora di freddo vero vediamo una fila di luci nella nebbia e nella pioggia. Scena allucinante, mi ricorda Apocalypse Now quando raggiungono il Do Long Bridge, stessa atmosfera di pazzia.

Lo so che adesso è quasi fatta, sono le quattro, forse forse riesco a farcela in 19 ore se mi do una mossa, incredibile. Quindi infilo sopra alla termica l'ultima maglietta asciutta, rimetto la giacca pioggia fradicia e dopo una tazza di brodo esco. Il ginocchio fa male, ma oramai non conta più, c'è solo da scendere, con un altro ragazzo ci lanciamo decisi, avverto Maria Carla che sto arrivando, un'altro po' di incolonnamento poi riprendiamo a correre in discesa, è lunga cavolo, si vedono le luci ma non è Chamonix. Passiamo alcune case, dai che oramai ci siamo...
E' ancora strada sterrata nel bosco, non so dove trovo la forza ma corro ancora, ad un guado due volontari mi dicono che mancano solo due chilometri, Chamonix si avvicina e finalmente la sensazione di avercela fatta davvero si fa strada tra i vestiti fradici. Asfalto, la pioggia aumenta ancora, e sbuco sul lungo fiume, raggiungo un ragazzo, lo guardo in faccia, ride come un matto, ce l'abbiamo fatta! Alle cinque del mattino, sotto il diluvio, ci sono degli irriducibili che continuano ad applaudire ed incitare tutti. Ma ho ancora qualche energia, corro deciso e all'angolo ecco Maria Carla, Janpo e Matteo, sono felicissimo; Mari corre con me le ultime due curve poi mi lascia all'ultimo dritto... Ed ecco che sbuca l'arrivo. Mi viene in mente giovedì sera, quando l'ho visto lì, vuoto ed abbandonato... Ed ora tocca a me, con la gente, le foto e tutto quanto. Gioia allo stato purissimo.

E' fatta. 19 ore e spicci, anche il cronometraggio è saltato, mi dicono che sono 200mo, non ci crederò finchè non lo vedrò a casa, ma più di tutto mi dicono che ho finito una delle gare più dure che potevo affrontare, le condizioni sono veramente oltre. Su 2000 partenti, 1000 ritirati e quasi 700 fermati, hanno sospeso (giustamente, anche se mi dispiace per Mauro che è stato fermato ad un passo dal realizzare il sogno) la gara, ma io sono tra quelli che l'hanno finita. Mi metto in coda e ritiro il mio gilet da finisher. Da come mi guardano Janpo, Mari e Matteo capisco che la faccia non è delle migliori, però solo adesso mi rendo conto: 19 ore sotto la pioggia, freddo, nebbia, fango, 100 km, un viaggio vero e proprio. Ed è passato così, in tranquillità, inseguendo i miei pensieri. E sto bene, le gambe sono a posto, il ginocchio fa un po'male, ma sto bene.

La doccia è un toccasana, poi aspettiamo Mauro, fermato a Trient: credevo di trovarlo incazzato, invece è il solito belinone, si ride e si scherza, sarà per il prossimo anno, ed andiamo a mangiare. Ore 6 polenta, pollo, lenticchie, birra e mela. Poi andiamo tutti a fare colazione. Finalmente vestiti caldi, finalmente due parole con calma. Anche questa è andata, gioia, un po' di orgoglio e tanta soddisfazione, che posso condividere con gli amici che sono lì con me, anche se ci vuole un po' perchè le emozioni si mettano a posto.
Forse il momento più bello arriva lunedì, tre giorni dopo l'arrivo. Entro in ufficio e c'è anche mio papà: mi vede entrare e senza dire niente mi viene incontro e mi abbraccia, un vecchio ultramaratoneta ad un novello ultratrailer. Gli altri ci guardano perplessi, rido con un nodo in gola: con un po'di orgoglio, penso che solo chi si è spinto “oltre” può capirci.

Chamonix, non è finita qui.


Mission accomplished


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